Il padrone del mondo
di Italo Calvino
Sono io il ciclista che passa per strada al mattino sul presto cantando
mentre voi vi girate nel letto destati al penultimo sonno
quel canto che non fate in tempo a sentirne la fine e si perde
e non siete riusciti a capire se canto per gioia o per rabbia:
io sono il padrone del mondo, ah! il padrone
e basta che alzi una leva e vi spengo la luna.
Ridò fuoco al sole buttandoci dentro il carbone,
so leggere bene le stelle e c'è scritto: la la la la.
Sono io il ciclista che grida correndo alla donna che passa e non guarda:
«Bella bruna!» e le strappa un'occhiata che dura soltanto un secondo.
Ma in quell'attimo è come essa fosse più mia che di tutti voialtri
e continuo la strada inghiottendo aria gelida e canto tossendo:
io sono il padrone del mondo ah! il padrone
e basta che alzi una leva e vi spengo la luna.
Ridò fuoco al sole buttandoci dentro il carbone,
so leggere bene le stelle e c'è scritto: la la la la.
Sono io che disturbo il riposo di voi che tenete in mano i comandi
del potere o magari soltanto vi fate illusione di tenerli
e vi dite: «Ma questa canzone è l'annuncio che non conteremo più niente
od invece è qualcuno che vuol canzonare se stesso cantando?»
Io sono il padrone del mondo ah! il padrone
e basta che alzi una leva e vi spengo la luna.
Ridò fuoco al sole buttandoci dentro il carbone,
so leggere bene le stelle e c'è scritto: la la la la.
da Piccolo Trattato di Ciclosofia
Didier Tronchet
Il ciclista urbano è per sua natura un inventore.
La solitudine, in mezzo a una marea di automobili, gli conferisce la sensazione di doversi battere per imporre il proprio universo.
Il suo mezzo di trasporto arciminoritario lo conforta nell'idea che egli vive nell'era gloriosa dei pionieri, che c'è molto di nuovo da inventare.
E questa pagina bianca nella storia dell'umanità, scritta con i suoi copertoni, è una bella sfida che egli raccoglie ogni giorno, sollevando la testa, un occhio alla circolazione, per evitare di essere un martire prematuro della scienza.
Ecco perché, signori automobilisti che li insultate, signori agenti che li multate, ecco perché i ciclisti descrivono ineffabili arabeschi sulla carreggiata, ecco perche' passano con il rosso o salgono sui marciapiedi.
In un organismo urbano in cui sono solo un corpo estraneo, in una città ostile, s'inventano un modo di essere che non è stato previsto per loro.
Tratteggiano nello spazio la minuta di una città in bicicletta: tracciano e cancellano.
Le loro evoluzioni sono rimorsi d'artista. Sono tutti presi nel loro atto creativo, nello schizzo febbrile. Non giudicateli adesso, ma quando avranno terminato la prima stesura.
Nell'attesa, smettetela con questi colpi di clacson, fate silenzio e trattenete il respiro come fareste davanti ad un bambino che fa i primi passi in un equilibrio sempre sul punto di infrangersi.
Osservateli con indulgenza commossa.
Cercano, barcollando, un nuovo equilibrio che rimetterà in marcia la città.
(brani tratti da OneMoreBlog)
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